In Calabria è tempo di riprogrammare la sanità

sanita500di Maria Laura Tortorella* - L'art. 32 della Costituzione al c. 1 recita "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti". E' proprio per questo che la sanità non può che essere pubblica. Un principio ben recepito dalla riforma del 1978 - Tina Anselmi Ministro della Sanità - che ha rivoluzionato un settore a cui miravano vari centri di potere, facendo prevalere la tutela della dignità della persona e l'uguaglianza. Dopo oltre quarant'anni, la storia ci insegna che non vi possiamo rinunciare, semmai recuperarne le storture.

Non può esistere una sanità privata (se non di completamento e sostegno), perché la salute è un bene comune, un diritto di tutti e sulla malattia non si può lucrare o creare profitto, né si può pensare che solo chi ha possibilità economiche possa garantirsene la tutela. Disporre di un sistema sanitario pubblico consente di risparmiare sui costi.

La sanità, pertanto, costituisce uno dei pilastri della politica, di una politica sana che investe su di essa e vi destina idonee risorse, individuando con procedimenti trasparenti le migliori competenze per la sua gestione, perché su tematiche come queste non ci si improvvisa. Servono conoscenze e capacità che verranno valutate sul campo, producendo risultati nel tempo, servono manager esperti e liberi da condizionamenti.

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L'importanza di ritornare ad investire sulla sanità "pubblica", è stata confermata, ove ve ne fosse bisogno, proprio in occasione dell'attuale pandemia che ha dimostrato, anche a livello internazionale, che i Paesi ed i territori dove all'affidamento pubblico è stato preferito il privato, il servizio non ha funzionato ed ha fatto lievitare le disuguaglianze. Così come ha comprovato che non basta curare le ferite nell'emergenza, ma bisogna risolverne le cause e operare sulla prevenzione nella gestione ordinaria.

Oggi, invece, la sensazione è che la politica, specie quella locale, si sia ritrovata ad inseguire l'emergenza, cercando di porvi rimedio alla meno peggio. Nel nostro contesto la crisi sanitaria ha messo in luce ancor di più l'inadeguatezza del servizio regionale calabrese e la necessità di restituire centralità alla salute dei cittadini, investendo di più e con oculatezza su infrastrutture, tecnologie e risorse umane, ma anche sulla ricerca e, nel contempo, sulla difesa dell'ambiente.

A livello nazionale, poi, si rileva che pure in momenti di simile gravità si è continuato a finanziare e a sostenere imprese volte alla costruzione di armamenti e alla produzione di armi, spesso destinate a Paesi in guerra, in sfregio alla normativa che ne limita le esportazioni. Sono industrie che, magari sostenute con degli incentivi, ben potrebbero riconvertire la produzione indirizzandola ad apparecchiature e presidi sanitari la cui fabbricazione in Italia è quasi del tutto sparita, per divenire monopolio di altri Paesi stranieri.

REGIONALISMO DIFFERENZIATO E FEDERALISMO

Per un servizio sanitario nazionale.

Con la riforma del titolo V della Costituzione (L. Cost. 3 del 2001) è stato introdotto il federalismo, prevedendo che le materie non espressamente riservate alla legislazione statale spettassero alle Regioni.

Si è passati così da un Servizio Sanitario Nazionale, unico, a più Servizi Sanitari Regionali che dovevano garantire a tutti i cittadini i Livelli essenziali di assistenza (LEA). In realtà il federalismo ha determinato una situazione differente in termini di risposta sanitaria, con regioni del Nord, più ricche, capaci di assicurare servizi di qualità, e regioni del Sud, più povere, in deficit e con Piani di rientro. Con territori dove i servizi offerti dalle strutture ospedaliere trovano il giusto completamento nella medicina territoriale ed altri, come quello calabrese, assolutamente scollegati e disorganizzati.

Prova ne sono l'aumento degli indici di rinuncia alle cure, ma anche l'alta percentuale di emigrazione - mobilità a scopo sanitario, con la maggiorazione di costi che ne deriva per i pazienti e le proprie famiglie, a favore di territori del centro - Nord.

Il federalismo, quindi, ha inasprito le disparità territoriali e sostenuto la sanità privata in luogo di quella pubblica. Ma alla luce dei recenti accadimenti emerge ancor con più forza la necessità di tornare ad un servizio sanitario nazionale capace di redistribuire i servizi ed i presidi su tutto il territorio del Paese.

Proprio l'emergenza ha fatto toccare con mano la necessità di eliminare gli steccati tra i territori facilitando, grazie alla collaborazione ed alla solidarietà, la soluzione di problemi e criticità e mettendo in comune competenze, intuizioni e creatività. Quanto accaduto dovrebbe portare ad una seria riflessione in ordine al regionalismo ed all'autonomia differenziata, promossa in primis dalla Lombardia, dal Veneto e dall'Emilia Romagna - regioni particolarmente colpite dalla recente epidemia - e auspicata, di recente, da altri Enti regionali. Perché da soli non si possono raggiungere i risultati di chi fa insieme e ci sarà sempre un momento in cui avremo bisogno dell'altro.

Così come i politici eletti negli ultimi decenni per amministrare i nostri territori calabresi, decidendo di ridurre le spese sanitarie nei bilanci, spesso a vantaggio di interessi privati, hanno operato scelte precise a scapito dei diritti fondamentali dei cittadini.

Oggi le regioni che non hanno disinvestito sulla sanità pubblica stanno resistendo meglio. E se il virus avesse colpito il Sud prima del Nord, forse per noi non ci sarebbe stato un futuro.

PIANO RIENTRO E COMMISSARIAMENTO

Per una sanità che utilizzi bene le risorse.

In piena emergenza CoVid-19, la sanità calabrese, commissariata da oltre dieci anni per via del mancato rientro dal debito, mostra ancor di più le sue debolezze e rende necessario un confronto serio sulla sua riorganizzazione.

Nel 2009 è stato approvato il Piano di rientro. Il Primo Commissario ad acta, nominato nel 2010, è stato il Presidente pro-tempore della Regione, On. Giuseppe Scopelliti; a lui sono succeduti nel 2014 il Gen. Luciano Pezzi, nel 2015 l'Ing. Massimo Scura e nel 2018, l'attuale, il Gen. Saverio Cotticelli.

Il Piano di rientro doveva durare tre anni, ristabilire l'equilibrio economico – finanziario della sanità regionale, attuando i Livelli essenziali di assistenza e contenendo i costi fino al raggiungimento del pareggio della spesa del Fondo Sanitario Regionale.

Delle 11 Regioni sottoposte a Piano di rientro, solo 5 sono state commissariate ai sensi dell'art. 120 della Costituzione ed attualmente solo due, la Calabria ed il Molise, risultano ancora tali.

In realtà, dal recente rapporto Eurispes Italia 2020, emerge che al Sud la spesa sanitaria pro – capite è più bassa anche del 50% rispetto al Nord, dove maggiori finanziamenti pubblici consentono di garantire livelli qualitativi dei servizi più elevati, a dispetto dei luoghi comuni in materia. La ripartizione dei fondi per la sanità, ad esempio, acquisisce maggiore peso in base all'età della popolazione ed al numero di anziani, privilegiando le regioni del Nord, a scapito di territori più poveri, come il nostro, dove si muore prima e dove vi è un'elevata percentuale di malati cronici.

Pertanto la Calabria, se ricevesse una somma proporzionata al suo fabbisogno reale, non dovrebbe essere commissariata per un Piano di rientro da un debito che, nonostante la decennale esperienza, non è stato appianato, anzi.

Un servizio sanitario pubblico, quello del Sud, che appare sottodimensionato, non funziona e lascia sempre più spazio ai privati, con i cittadini che di fatto si trovano a sostenere spese maggiori per servizi mancati o mal prestati.

Tuttavia, nonostante le disparità di ripartizione dei fondi nazionali, anche le stesse Aziende Sanitarie Provinciali calabresi (già Unità Sanitarie Locali) hanno contribuito ad aggravare la situazione negli anni, continuando a spendere poco e male le risorse assegnate agli ambiti provinciali.

Un disavanzo record per un'offerta sanitaria inefficiente. Un disavanzo, peraltro, perpetuato e gonfiato da atti giudiziari, precetti e pignoramenti che si susseguono per il recupero di somme da parte di creditori reali o presunti tali fino ad arrivare, come emerso da inchieste della magistratura, a fatturazioni pagate più volte ed oggetto di giudizi e noti professionisti che su queste prassi hanno fondato il proprio mestiere ed i propri guadagni.

Neanche il grande dispendio di fondi erogati negli anni in favore delle strutture private è stato accompagnato dai dovuti controlli sull'utilizzo degli stessi, nè sul livello qualitativo dei servizi offerti, comportando da un lato, falle di inefficienza e di spreco, dall'altro un indebolimento – per carenza di sostegno e di risorse – dello stesso servizio pubblico, che dovrebbe rappresentare garanzia di diritti costituzionali uguali per tutti, contribuendovi ognuno in proporzione alle propria capacità economica.

PRESENZA 'NDRANGHETA

Per una sanità libera da mafie e poteri forti.

Un territorio, il nostro, dove il diritto alla salute già difficile da garantire in un contesto di federalismo e piano di rientro, viene minato anche dal mancato rispetto della legalità.

Nel servizio, quello sanitario, offerto o mancato, si è insinuata con facilità anche la 'ndrangheta, che ha lautamente goduto di facili guadagni grazie ad appalti e forniture ospedaliere, collocamento di propri referenti ed altro, contribuendo di fatto ad impoverire un settore già in debito.

Nell'ottobre 2005 è stato ucciso il politico di centro-sinistra Giuseppe Fortugno, da pochi mesi Vice Presidente del Consiglio regionale della Calabria, medico presso l'ospedale di Locri. I colpevoli vennero arrestati nel 2006 e, fra il 2011 e il 2013, vennero condannati in via definitiva, quali mandanti, Giuseppe ed Alessandro Marcianò, vicini al clan Cordì, rispettivamente infermiere e caposala presso il medesimo ospedale. In Consiglio regionale gli successe Domenico Crea, primo dei non eletti dello stesso partito, anche lui medico, con importanti interessi in ambito sanitario, che nelle precedenti amministrazioni regionali di centro-destra aveva ricoperto importanti ruoli in Giunta. Questi fu poi arrestato nel 2008 su disposizione della D.D.A. proprio in relazione ad un'inchiesta sulla sanità.

Così l'Azienda Sanitaria di Locri (poi confluita in quella di Reggio Calabria), già sciolta per infiltrazioni delle organizzazioni criminali nel 1989 - prima in Italia - fu nuovamente commissariata nel 2006.

Nel 2010 toccò all'Azienda Sanitaria Provinciale di Vibo Valentia.

Attualmente sia l'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria, a far data dal 2019, che quella di Catanzaro, da quest'anno, sono state sciolte per infiltrazioni e/o condizionamenti delle organizzazioni criminali. Per Reggio è la seconda volta, la prima, nel 2008, appena accorpata all'Azienda Sanitaria Locale di Palmi.

Scioglimenti che hanno attestato, ove ve ne fosse bisogno, come la 'ndrangheta fosse presente e protagonista attiva nella gestione del servizio sanitario in Calabria controllandone, in più modi, le scelte, le forniture, l'assunzione del personale. Un'organizzazione criminale che interagisce con poteri forti, massoneria deviata, professionisti e politici corrotti in barba alla mission per la quale sono stati eletti.

Oggi i Commissari nominati dal Governo centrale, che ne hanno sostituito i Direttori Generali, devono assicurare risposte forti e concrete alle popolazioni già duramente provate.

Le Direzioni Distrettuali Antimafia, sia a livello nazionale che locale, hanno già messo in guardia la politica sul rischio concreto che la criminalità approfitti dell'attuale pandemia e della successiva fase di ripresa, non solo ingerendosi nei settori tradizionali, infiltrandosi negli investimenti pubblici per la realizzazione di infrastrutture, permeando lo smaltimento dei rifiuti speciali, ma anche utilizzando la propria liquidità per sostenere imprese in difficoltà, a rischio usura, se non per accaparrarsene. Il tessuto sociale più povero e debole potrebbe lasciare aperti comodi varchi che andranno tenuti sotto controllo da politiche vigilanti e attente alle procedure, nonché dalla prudenza di imprenditori consapevoli che non cedano a false lusinghe.

STRUTTURE AMBITO PROVINCIALE

Per conoscere l'organizzazione del territorio.

Nel territorio di competenza della Città Metropolitana di Reggio Calabria, vi sono oggi i seguenti presidi ospedalieri pubblici:

1. Hub Dea (II livello): Azienda Ospedaliera Bianchi-Melacrino e Morelli, cd G.O.M. (Grande ospedale Metropolitano), dovrebbe essere un "centro di eccellenza" per malattie complesse

2. Spoke Dea (I livello - per acuti): Presidio Ospedaliero di Locri, Presidio Ospedaliero Santa Maria degli Ungheresi di Polistena, centri periferici

3. Ospedale Generale P.S. – I intervento: Presidio Ospedaliero S. Giovanni XXIII di Gioia Tauro e Presidio Ospedaliero T. Evoli di Melito Porto Salvo

4. Casa della salute – I intervento: Scilla, Taurianova, Oppido Mamertina, Palmi.

Il G.O.M. ha una gestione autonoma rispetto quella della locale Azienda Sanitaria Provinciale, che amministra le altre strutture ospedaliere minori e la medicina territoriale, quest'ultima ridotta al minimo. Le due Direzioni Generali dovrebbero interagire e collaborare per massimizzare l'offerta sanitaria sul territorio.

Sappiamo bene che le strutture della provincia di Reggio Calabria sono già in sofferenza, alcune sono state di fatto abbandonate in favore di alternative ancora non realizzate.

Tra queste l'Ospedale Unico della Piana, di cui tanto si è parlato, doveva essere uno spoke polispecialistico per acuti, modernamente organizzato e con dotazione di circa 340 posti letto, la cui realizzazione era stata prevista già dal 2007, a Palmi, con un costo che si aggirava ben oltre i 100 milioni di euro. Con responsabile unico del procedimento (R.U.P.) il dirigente regionale ing. Pallaria, lo scorso mese di ottobre alla ditta affidataria, a motivo di interdittiva antimafia, è subentrato un altro concessionario ed è stato rimodulato il cronoprogramma. I lavori non sono ancora iniziati. Ci auguriamo che si recuperi il tempo perduto.

Ancora, poi, non è dato conoscere come siano state attrezzate le varie strutture in vista dell'attuale pandemia: i dati sono frammentati e si inseguono di giorno in giorno. Non ci risulta pubblicizzato il Piano straordinario di intervento adottato dalla Regione Calabria.

Una realtà, la nostra, dove ancora, in piena emergenza, non sono mai arrivati i dispositivi di protezione individuali (D.P.I.) neanche per medici, infermieri ed operatori. Un ospedale hub, quello di Reggio, dove in situazione di normalità, i servizi urgenti mancano ancora di oltre 150 unità. Con la spesa autorizzata in questi giorni dalla Regione Calabria dovrebbero essere assunte 98 unità, in gran parte infermieri, ma solo a tempo determinato.

Mentre le competenze dei due ospedali spoke (Polistena e Locri) e dei due ospedali generali (Gioia Tauro e Melito Porto Salvo), alla luce dell'emergenza del coronavirus, non sono ancora chiare e gli intendimenti tra gli organi decisori, nonostante il preannunciato aumento di personale a tempo determinato anche per queste strutture, sono via via oggetto di aggiornamenti.

Ci chiediamo: che tempi sono necessari per le assunzioni? Di quante TAC dispone l'ambito metropolitano e dove sono collocate? Sono state acquistate e consegnate quelle già da tempo finanziate? Le ambulanze sono sufficienti? E le riserve di bombole di ossigeno?

Il Sindaco di Gioia Tauro, di recente, anche in considerazione della situazione in cui versa il locale Ospedale generale, privo di strumentazione oltre che di personale, ha chiesto che venga utilizzata una nave da crociera con finalità specifica per il CoVid-19. Si tratta di un'idea che potrebbe costituire un'alternativa ai presidi già destinati ai pazienti ordinari. Questa proposta è stata valutata?

I CITTADINI ORA VOGLIONO "CONTO"

Perché oltre che destinatari dei servizi, ne sono i finanziatori.

Oggi i cittadini, in una situazione emergenziale come quella attuale, vogliono "conto" di tutto ciò. Perché troppo a lungo le loro domande non hanno trovato interlocutori o risposte attendibili.

Ricordiamo che sono proprio i cittadini a finanziare i servizi della sanità pubblica, tramite l'addizionale regionale all'IRPEF, l'IRAP, l'IVA, i ticket sanitari e oggi non possono subire passivamente l'ennesimo scippo di un servizio essenziale.

I cittadini di Reggio Calabria e della Città Metropolitana oggi vogliono sapere di più e, in particolare chiedono le dovute risposte al Presidente della Regione Calabria che ha tenuto per se le deleghe alla sanità ed ha affidato la responsabilità della Protezione Civile ad uno storico dirigente regionale che ha manifestato pubblicamente la propria "incompetenza", per poi dimettersi pur mantenendo il settore dell'edilizia sanitaria e dell'ammodernamento tecnologico. La responsabilità della PROCIV calabrese, intanto, è stata assegnata ad altro funzionario regionale sul conto del quale non risultano specifiche ed idonee competenze. Sul lavoro di entrambi chiediamo garanzie.

Così come vorremmo certezza sulle informazioni ufficiali fornite: le discrasie tra i dati consegnatici dalla Protezione Civile Nazionale e quelli esternati dai portavoce della Regione Calabria, tra la fine di marzo e l'inizio di aprile, sono differenti. Com'è possibile? I soggetti positivi al CoVid-19 sono diminuiti realmente o il dato va ridimensionato perché frutto dell'esiguità dei tamponi effettuati? Come si sta realmente sviluppando l'avanzata del virus in Calabria?

Di recente, il Commissario regionale Cotticelli, con il Decreto n. 62 del 6 marzo 2020, aveva tentato di declassare il Laboratorio di Patologia Clinica Polo Sanitario di Reggio Calabria Nord a Centro di raccolta prelievi per affidarne al Grande Ospedale Metropolitano l'attività laboratoristica del territorio.

Chiudere l'unico Laboratorio pubblico esistente presso il Comune di Reggio sarebbe stato infierire un colpo mortale alla sanità territoriale e non ci si può non domandare a quale logica potesse rispondere una simile decisione, mentre da tempo l'intero Paese, indipendentemente dall'attuale emergenza pandemica (facendosi carico di eseguire i test per il Coronavirus anche in forma di screening di massa per l'intera popolazione a rischio), sta effettuando investimenti sui territori, nella cosiddetta medicina di prossimità, in alternativa ad una sanità ospedalocentrica. Solo le proteste di addetti ai lavori, associazioni e cittadini ne hanno, di fatto, impedito la chiusura.

Così come ancora si aspetta di conoscere quali siano le iniziative adottate per assicurare le prestazioni sanitarie in favore di coloro che hanno necessità dell'assistenza domiciliare (A.D.I.) e per le persone con disabilità. Si tratta di un servizio fermo già dal luglio del 2019, quando ne è stata sospesa l'erogazione.

Nel contempo stupisce che il primo Consiglio regionale, convocato dopo oltre cinquanta giorni dalle consultazioni elettive, non abbia trovato di meglio da fare che revocare la Riforma del III Settore, fondamentale per riorganizzare i servizi sociali di cui alla legge regionale n. 5 del 1987 e colmare le lacune di un sistema fermo da oltre trent'anni. La Calabria, di fatto, oggi è l'unica regione italiana a non applicare la riforma sul sistema integrato delle politiche sanitarie e sociali di cui alla legge 328/2000.

In particolare, poi, vorremmo avere delle altre informazioni importanti:

1. quanti e quali dispositivi di protezione individuale siano stati acquistati a seguito di apposita manifestazione d'interesse e quali presidi sanitari ne siano stati riforniti;

2. quanti e quali strumentazioni per il potenziamento dei posti di terapia intensiva e sub-intensiva siano state fornite dal livello nazionale e quante a seguito di apposita manifestazione d'interesse dal livello regionale e in quali presidi siano state collocate; di conseguenza di quanti posti di terapia intensiva e sub-intensiva si disponga oggi a livello provinciale e dove siano ubicati; quante le TAC ad uso dedicato dei contagiati dal virus; di quante ambulanze dispongono il G.O.M. e gli altri presidi sanitari del contesto metropolitano e se siano ritenute sufficienti;

3. Quanti medici, infermieri e personale sanitario siano stati reclutati a seguito dell'apposito avviso regionale;

4. Quanti medici in pensione abbiano positivamente risposto all'apposito avviso regionale per il rientro in servizio;

5. In quali presidi ospedalieri si è dato avvio alla sperimentazione dell'uso del farmaco Tocilizumab, che sembra aver dato risultati incoraggianti a Napoli, o di altri similari e con quali risultati;

6. Quali strutture siano state destinate a Centro Covid 19 e come vi interagiscono gli altri presidi? Quali hanno una radiologia dedicata?

7. Fra le varie proposte, vi era stata anche quella di far ripartire alcune ditte locali per la produzione di Dispositivi individuali di protezione, in un momento in cui solo due ditte a livello nazionale (nel centro – nord) hanno ripreso la produzione di mascherine chirurgiche (attività ormai dismessa per la grande concorrenza cinese e turca); è sostenibile?

8. E' stata valutata la proposta dell'imprenditore De Masi di una possibile conversione di parte della produzione, in favore di ventilatori e/o respiratori, in atto prodotti da una sola ditta in Italia? Quale sostegno potrebbe ricevere a tal fine?

9. Quale compartecipazione della sanità privata è stata presa in considerazione in caso di necessità aggiuntive?

Si, questo è veramente il momento di rivedere tutto, utilizzando i fondi per quanto serve in termini di personale ed attrezzature, valutando bene la congruità delle spese ed evitando sprechi, la sanità potrebbe essere uno di quei settori da dove ripartire, riponendo in posizione primaria il servizio pubblico e relegando in posizione di giusto supporto e completamento quello privato.

Perché questa spaventosa crisi, accanto al dolore della perdita, alla gratitudine verso coloro che hanno offerto la vita per curare e servire, alla condivisione ed alla solidarietà, consegni al nostro territorio un'opportunità, quella di ricostruire presente e futuro. E la politica potrà farlo solo partendo dall'ascolto di un territorio che soffre e che per troppo tempo è restato inascoltato.

Ecco perché vogliamo leggere questi avvenimenti come una chiamata del nostro tempo, una chiamata a politici, tecnici e cittadini. Ai primi perché compiano le migliori scelte per il bene di tutti, con uno sguardo disinteressato proiettato con coraggio al futuro, ai secondi perché ne orientino le decisioni ed ai terzi, i cittadini, perché ancora una volta avvertano la necessità di conoscere gli accadimenti e di ricevere una corretta informazione dai loro amministratori, per essere, in questo tempo straordinario, ancor più attivi e responsabili.

*Laboratorio politico Patto Civico