Coronavirus e violenza di genere: un inferno lungo 44 giorni. L'abisso tra Spagna e Italia

VIOLENZA DI GENEREdi Mariateresa Ripolo - Femminicidio. Indignazione. Condanna e rassicurazioni istituzionali. Silenzio. Nuovo femminicidio. Il ciclo ricomincia: le donne muoiono e i problemi restano.

Quarantaquattro giorni di quarantena obbligatoria a causa del Coronavirus. Confinati in casa a vivere una quotidianità fatta di cose essenziali per contribuire a salvare più vite umane. Non ci viene chiesto molto, eppure non per tutti la quarantena ha lo stesso significato. Lo stesso peso. 44 giorni da quell'ormai "famoso" DPCM del 9 marzo 2020, da allora molte cose sono cambiate, purtroppo non sul fronte della violenza di genere. Oggi quel «Nessuno sarà lasciato solo» ripetuto decine e decine di volte sembra quasi farsi beffa di chi, invece, fisicamente solo non lo è per davvero, perché si trova in compagnia del mostro. Quel mostro che umilia, che esercita violenza fisica e psicologica, che uccide tra le mura domestiche, che diventano tutto tranne che un luogo sicuro.

La sinergia tra centri antiviolenza e forze dell'ordine sta contribuendo in larga parte ad arginare un dramma che si espande a macchia d'olio e si forgia anche dietro l'assurdo silenzio istituzionale. Una questione gestita male, malissimo dall'Italia, che ancora oggi, dopo diverse settimane, non è riuscita a dare risposte concrete.

«Non è cambiato nulla, né a livello nazionale, né a livello locale». Francesca Mallamaci, responsabile del centro-rifugio "Angela Morabito", il più importante in provincia di Reggio Calabria, ci conferma che nessuna decisione è stata presa e nessun nuovo passo avanti è stato fatto per quanto concerne il fenomeno della violenza di genere che si è aggravato a causa del Coronavirus. Ancora da soli a combattere un problema sociale in continua espansione, supportati soltanto dalle forze dell'ordine. «Dopo un primo calo delle richieste da parte delle donne, evidentemente dovuto al fatto che non sapevano come muoversi vista l'emergenza, le chiamate sono ricominciate, – ci spiega – continuiamo, inoltre, a osservare come le richieste d'aiuto avvengano sempre più tramite le forze dell'ordine». (Leggi qui).

«Le forze dell'ordine sono costrette a intervenire perché si registrano casi di estrema urgenza». Una serie di richieste d'aiuto nelle ultime settimane che hanno visto il diretto intervento di Carabinieri e Polizia allertati da donne preoccupate per la loro incolumità e per quella dei loro figli: «Negli ultimi giorni abbiamo avuto la segnalazione di un intervento tempestivo a Cosenza, una donna è stata massacrata dal compagno e ha avuto una prognosi di trenta giorni», ci spiega Francesca Mallamaci, «la cosa inaccettabile è che siano sempre le donne costrette a doversi allontanare dalla propria abitazione e dal proprio paese, è una cosa che molte di loro non capiscono. Ci chiedono: "Ma perché devo andare via io?"».

Sul fronte istituzionale, ci conferma la dottoressa Mallamaci, nulla ancora è stato fatto: «Purtroppo non c'è nulla che nasca direttamente dalle Istituzioni, se si fa qualche passo avanti è sempre per le continue sollecitazioni da parte dei centri antiviolenza». A quanto pare alle promesse istituzionali delle scorse settimane, non c'è stato alcun seguito.

Ma è ovunque così? Quanta rilevanza viene data alla questione in altri Paesi europei?

--banner--

In Europa la risposta più forte arriva dalla Spagna. Qui,sin da subito, il presidente socialista Pedro Sánchez ha sollevato il problema. D'altronde come ci spiegano due specialiste spagnole del settore – Serezade Calahorra Vera, psicologa, sessuologa, specializzata in terapia di coppia e María Bellón, psicologa e counselor, specializzata in violenza di genere – la Spagna, il primo Paese europeo dove sono stati messi immediatamente a disposizione dal Governo centrale degli alberghi per le donne vittime di violenza e per i loro figli, sembra essere decisamente più sensibile alla tematica: «Una delle misure per intervenire sulla violenza di genere è quella ideata dal Collegio ufficiale dei farmacisti delle Isole Canarie in collaborazione con il governo delle Canarie. Si tratta di una parola in codice "Mascarilla-19" (Mascherina 19): quando una donna chiede questo tipo di mascherina, i farmacisti sapranno di trovarsi davanti una vittima di violenza domestica e chiameranno automaticamente per attivare il protocollo pertinente». Gli obiettivi della campagna messa in atto, ci spiega Serezade Calahorra Vera, sono molteplici: «Innanzitutto, permettere che le donne vittime di violenza domestica possano chiedere aiuto anche se in quarantena obbligatoria a causa del Coronavirus, scoraggiando gli aggressori dai loro comportamenti e facendo loro sapere che la società nel suo insieme è vigile per proteggere le donne da ogni possibile aggressione; coinvolgere gli agenti sanitari e sociali (come nel caso delle farmacie) nella lotta contro la violenza di genere e – in particolar modo, ci spiega – sensibilizzare la società nel suo insieme per favorire un atteggiamento attivo di rifiuto verso il fenomeno della violenza di genere».

Attualmente in Sapagna ci sono più di 9.000 farmacie che collaborano all'iniziativa che si sta diffondendo anche in Francia e Norvegia.

Prevenzione e aiuto a 360 gradi: a giovani coppie, donne e ai loro figli. La dottoressa Calahorra Vera, che lavora come psicologa presso il Centro Giovani nella città spagnola di Albacete, a Castiglia-La Mancia, precisa: «Il tema della prevenzione della violenza di genere viene trattato attraverso un lavoro di rete con altri servizi di riferimento come il Centro Donne o le diverse associazioni che lavorano per sradicare questo tipo di fenomeno». Il lavoro di prevenzione viene fatto attraverso «seminari composti da moduli sull'uguaglianza di genere finalizzati ad identificare i segni che contraddistinguono una relazione malsana», non mancano, inoltre, «campagne di sensibilizzazione, sia sui social network che su altri canali, attraverso cui si cerca di sensibilizzare i giovani su cosa sia una relazione sana», il primo passo per capire se si è all'interno di un rapporto che può portare a maltrattamenti fisici e psicologici.

Grande attenzione, inoltre, viene data ai minori che si trovano a dover affrontare situazioni di maltrattamenti in famiglia. María Bellón, specializzata in violenza di genere, lavora per il Servizio di Assistenza Psicologica per minori vittime di violenza di genere a Castilla-La Mancia, un servizio gratuito attivato nel 2013 per minori dai 4 ai 17 anni, figlie e figli di donne vittime di violenza di genere, e per donne minorenni (dai 14 ai 17 anni) che sono o sono state vittime dei violenza di genere.

«Vivere in un ambiente violento – ci spiega la dottoressa Bellón – può avere conseguenze disastrose per il bambino a diversi livelli: da quello fisico (ritardo della crescita, disturbi del sonno, disturbi alimentari) a quello psicologico, ossia disturbi emotivi (ansia, depressione, paura, bassa autostima); problemi comportamentali (mancanza di abilità sociali o aggressività); problemi cognitivi (ritardo linguistico, deficit di concentrazione o fallimento scolastico)».

«Il lavoro sui minori viene svolto in modo individualizzato e specializzato fornendo supporto emotivo e terapia psicologica», afferma María Bellón «perché ogni minore ha un modo di affrontare la situazione». La dottoressa, infatti, ci spiega quanto sia importante lavorare sui figli delle vittime proprio per evitare che in futuro possano loro stessi diventare a loro volta sia vittime che carnefici: «Alcuni reagiscono negando l'esistenza della violenza, altri tendono ad identificarsi con la madre e provano paura, altri ancora accettano la violenza in quanto non riescono ad affrontare ciò che per loro appare come un conflitto di lealtà verso le loro principali figure di attaccamento», le conseguenze peggiori si hanno se i minori «cominciano ad assumere a loro volta il modello violento perché si identificano con chi ne è l'autore», ossia il genitore. Il modello spagnolo, da questo punto di vista, punta essenzialmente a dare un supporto concreto e a favorire l'annientamento del fenomeno attraverso il trattamento dei casi e l'educazione delle generazioni future.

«Viviamo in una società – conclude la dottoressa Bellón – con modelli di genere chiaramente definiti, in cui l'esperienza vitale del trauma favorisce la ripetizione dei modelli più tradizionali. Ecco perché è di vitale importanza lavorare con i minori per evitare di ripetere ruoli e perpetuare il ciclo della violenza. È fondamentale supportare le famiglie, le donne vittime, i minori, in stretto coordinamento con tutte le risorse a disposizione e le amministrazioni».