"Ho famiglia...": il terrore degli imprenditori alberghieri liguri davanti ai boss della 'ndrangheta

intercettazioni500bis"Non posso venire ... tengo famiglia ... non posso venire". Cosi' uno dei soci della societa' proprietaria dell'Hotel del Golfo di Finale Ligure (Savona), finito in mano alla 'Ndrangheta, parlava dell'impossibilita' di presentarsi nell'aprile 2018 all'assemblea dei soci dopo le minacce che avrebbe subito da Alfonso Pio, arrestato stamani dalla polizia con altre tre persone. Anche in occasione di una successiva assemblea dei soci, il 12 giugno del 2018 a Milano - si legge nell'ordinanza del gip di Milano Guido Salvini eseguita nell'inchiesta della Dda guidata dall'aggiunto Alessandra Dolci - Alfonso Pio "minacciava" lo stesso socio che, poi, gli diceva "questa e' la seconda volta che io faccio saltare la riunione ... e mi piglio io le responsabilita' ... ho fatto quello che volevate".

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Sempre a seguito "dello stato di intimidazione" il socio e sua moglie, anche lei nella societa', il 28 agosto 2018 facevano consegnare gli "originali dei certificati azionari" a Omar Petrocca, uno degli arrestati, "che li esibiva all'assemblea del giorno seguente e se ne impossessava". Cosi' la 'Ndrangheta avrebbe ottenuto il controllo dell'albergo.

Ad Alfonso Pio e a Ezio Mario Scirea, altro arrestato, viene contestato anche un episodio di usura. Si sarebbero fatti "dare e promettere", tra il 2018 e il 2019, da un imprenditore in crisi, come corrispettivo di un prestito di 10mila euro, "interessi usurari pari a circa il 5% del capitale su base mensile". Inoltre a Pio, Scirea e Francisc Kelemen, romeno e anche lui arrestato, viene contestata anche un'altra estorsione aggravata dal metodo mafioso: avrebbero cercato di costringere con minacce una persona a consegnare loro 300mila euro, che dovevano servire sulla carta per "un progetto in Africa". E avevano cercato di farsi restituire dalla stessa persona altri 135mila euro. Nel novembre del 2019, pero', la vittima dell'estorsione aveva sporto denuncia. Scirea, come emerso nell'inchiesta, aveva minacciato la vittima dicendo che "aveva conoscenze con mafiosi e in un modo o nell'altro dobbiamo risolvere" e aveva fatto recapitare nella casetta della posta dell'abitazione della vittima un biglietto anonimo con scritto "siamo passati a trovarti". Kelemen, poi, avrebbe inviato un messaggio WhatsApp sul telefono della moglie della vittima con scritto "domani alle 13 saro' anche io al ristorante", locale dove si sarebbe tenuto il ricevimento per la comunione della figlia della coppia. E ancora telefonate anonime ai genitori della vittima con messaggi del seguente tenore: "verranno a prenderlo e picchiarlo ed ammazzarlo di botte"